Innovazione e riqualificazione sono le parole chiave che caratterizzano l’orientamento odierno nel campo della pianificazione urbanistica della città.
Negli anni del dopoguerra il progresso economico e la crescita demografica hanno portato una rapida espansione dei centri abitati; questa espansione, positiva in un primo momento per ragioni pratiche, ma anche negativa, perché segnata da un intento puramente utilitaristico, ha portato ad una lunga eclissi del decoro urbano del costruito.
Oggi è maturata una nuova idea di città, si parla di epoca post-industriale, e le nuove esigenze impongono un diverso orientamento che mira ad uscire dal silenzio urbanistico ed edilizio del passato correggendo i cosiddetti mali della città industriale.
L’obbiettivo principale è il recupero della qualità urbana, poiché essa ha ceduto il passo a fenomeni quantitativi che mostrano l’ingenuità delle impostazioni precedenti, proiettate unicamente verso una crescita illimitata delle città senza tener conto della qualificazione globale dello sviluppo edilizio pubblico e privato.
Di qui la necessità che i nuovi interventi siano in grado di rispondere alle innumerevoli esigenze della vita cittadina di oggi e altresì della “città del futuro”. Un’edificazione casuale ed incontrollata, così come un irrazionale ricupero di costruzioni inesorabilmente degradate, implicano scelte limitative per il successivo sviluppo della città.
Uno degli obbiettivi fondamentali dell’architettura è quello di consentire allo spirito innovativo e al genio creativo d’emergere e lasciare un segno, un’impronta, e allo stesso tempo, trovare un’equilibrata risposta alle esigenze di coordinazione tra vecchio e nuovo. È sicuramente limitativo difendere ostinatamente e ristrutturare edifici del passato in nome della storia che fu...
...quest’ultima considerazione non vuole essere una presuntuosa pretesa di calpestare il passato in nome dell’innovazione totale, bensì una sicura convinzione che, ai ricordi, si possono affiancare le nuove esperienze e le nuove proposte nate dalle esigenze del presente.
L’intenzione di attualizzare l’architettura, con uno spirito spiccatamente innovativo, non esclude assolutamente una linea di rigore progettuale che consenta d’evitare improvvisazioni. Si è voluta suffragare la tesi enunciata sopra con alcuni esempi significativi, alcuni utopici e altri concretamente realizzati, di studi collocati in siti prossimi a fiumi o a parchi di città.
I progetti elencati colgono perfettamente la finalità di inserire edifici con forte emergenza, non in un contesto costruito, dove sarebbe troppo forte il contrasto, e dove si creerebbero dissonanze e conflittualità insanabili. Lo studio e l’inserimento di edifici in un contesto privo di scala umana, quale ad esempio la vegetazione di un folto parco, permette di creare una prospettiva irreale (come si può notare dalle foto e dai fotomontaggi allegati) e ottenere la sensazione visiva di una struttura architettonica emergente dal verde, priva di fondazioni, galleggiante.
Il risultato è quello di eliminare il rapporto prospettico tra l’architettura esistente e quella in progetto. Gli studi che mirano ad ottenere città vivibili rispettando la dimensione “uomo” sono molteplici e per così dire utopici, poiché la ricerca di spazi verdi è sempre più forte e l’esigenza stessa di usufruirne diviene vitale, ma allo stesso tempo impossibile, salvo radicali trasformazioni.
Dalla documentazione fotografica si evince che sono un numero considerevole gli studi che hanno ratttato città con affacci su parchi o fiumi, di norma poco utilizzati, ma di grande interesse per un eventuale significativo sviluppo urbanistico. È pensiero comune che la qualità commerciale e quella edilizia possano coesistere tramite un connubio tra il “verde”, che oggi è business commerciale di maggior successo, e gli edifici da realizzarsi in simbiosi con esso.
Le esigenze del cittadino sono invece la necessità di usufruire del verde di superficie (ricavato dalle zone parcheggio) e, allo stesso tempo, di usufruire delle strutture attrezzate (parcheggi inglobati nel sottosuolo). Tali esigenze implicano l’ipotetica realizzazione di edifici che si sviluppano in elevato, e che inglobano al loro interno abitazioni, uffici, spazi ricreativi etc...
La realizzazione di complessi di questo genere scontra con il grande limite dei piani regolatori, cioè il fatto che questi dovrebbero prevedere il futuro, invece sono già obsoleti prima di entrare in vigore.
Non riuscendo a soddisfare le richieste della collettività, i piani regolatori mirano ad operare interventi “chirurgici” su piccoli tasselli del contesto urbano, limitandosi all’inserimento di volumetrie di completamento per la chiusura degli isolati, o normando sporadiche sopraelevazioni prive di un continuum con l’esistente; soprattutto non permettono studi e progetti utopici e di fantasia su notevoli porzioni di città oramai dimesse da anni, ma di notevole interesse.
Il progetto utopico di rendere pedonabile il centro storico delle grandi città, deve essere suffragato da studi mirati ad analizzare le esigenze dei cittadini che vivono lo spazio urbano e che ne fruiscono in concreto; tali esigenze non devono dunque scontrare con i vincoli teorizzati da amministrazioni non sempre lungimiranti o che non tengono conto di uno sviluppo concreto della città.
Bisogna tener presente di come, tra contraddizioni e necessità, vivano la città, e nella fattispecie il centro storico, i singoli abitanti, i commercianti, gli impiegati e gli altri lavoratori, i visitatori, i turisti, gli extracomunitari e le forze dell’ordine; solo un progetto curato in questo senso può individuare quale sia la via per la migliore attuazione.
Penalizzare lo sviluppo dei rapporti sociali, trovandosi di fronte ad un centro storico privo di interesse da parte della collettività a causa dell’impossibilità di reperire parcheggi, oppure cercare sempre più difficili e tortuosi percorsi, quali inconcludenti tentativi di limitare il flusso di auto, obbligando i singoli cittadini ad estenuanti ricerche di parcheggi?
I dibattiti tra le amministrazioni e i commercianti del centro, mette in luce proprio il fatto che non sono stati eseguiti studi approfonditi a tal proposito. Come pensare di impedire l’ingresso delle auto in prossimità delle città, non fornendo alternative concrete, e rischiando di avere dei centri “vuoti”, perché privati di interesse per la collettività?
Se il grande male della città è causato dalla congestione di auto, che comprendono quelle dei residenti, quelle degli impiegati e quelle dei visitatori, sarebbe interessante scoprire come e quanto la sosta di queste auto interagisce con il numero dei parcheggi, per stilare una mappa dei parcheggi stessi e degli eventuali fruitori. Purtroppo coesistono la schiavitù dell’auto, il traffico e l’impossibilità di avere nelle periferie delle città delle zone munite di idonei parcheggi e, allo stesso tempo, dei rapidi mezzi di trasporto atti a decongestionare le zone nevralgiche.
A tal proposito si può pensare di concepire la progettazione di edifici, con o senza preminente verticalità, ma di notevole richiamo, collocati in aree parzialmente periferiche e, intorno a questi, creare spazi verdi; qui si attesterebbero i flussi di arrivo delle periferie che verrebbero smistati, a seconda delle esigenze, all’interno delle città tramite mezzi alternativi che dimezzerebbero il rapporto spazio-tempo.
Le MOTIVAZIONI dell’approccio al progetto di riorganizzazione del parco Michelotti sono dettate sostanzialmente dal desiderio di inquadrare i modo completo il progetto stesso, senza prescindere , in modo ingiustificato, da tutti i problemi del tessuto urbano che lo circonda.
Si è operato su di un’area di grande interesse, considerando la notevole superficie a disposizione, che permette di realizzare insediamenti notevoli e di creare collegamenti sotterranei, anche al di sotto del fiume (tunnel per eventuali trasporti).
Il PROGETTO è stato ideato come centro polifunzionale; il complesso, infatti, si compone di spazi destinati al terziario, di un hotel, di una torre per uffici e di parcheggi sotterranei.
Entrando nello specifico, l’edificio si compone di una piastra di base (150 metri di lunghezza e 90 di larghezza) che si sviluppa su quattro piani fuori terra, e con un parcheggio nel sottosuolo. Al piano terra si trovano gli ingressi prospicienti al Corso Casale, la grande hall, l’ingresso uffici e l’ingresso dell’hotel; da questo piano partono le batterie di ascensori di collegamento con il parcheggio sotterraneo automatizzato che sarà in grado di accogliere 1300 vetture.
Dalla piastra di base si innalzano due torri: una formata da due quarti di cerchio, contiene 15 piani di uffici per un’altezza di 104 metri; l’altra formata da quattro quarti di cerchio, contiene 31 piani di hotel, l’ultimo dei quali racchiude un ristorante panoramico a 360 gradi sulla città, il tutto per un’altezza complessiva di 168 metri.
Le uscite di sicurezza sono affidate alle tre torri cilindriche aventi diametro di 8 metri; si crea così un nucleo di sicurezza esterno all’edificio in caso di incendio, e che nello stesso tempo assolve il compito statico di controventatura degli edifici.
Sono stati progettati due distinti sistemi di collegamenti verticali al servizio dell’edificio, il primo per il normale esercizio, il secondo esclusivamente per la sicurezza. I collegamenti verticali per il normale servizio, sono stati affidati principalmente agli ascensori. Ogni batteria di ascensori è stata prevista del tipo “a manovra registrata collettiva selettiva” ed è composta da cabine aventi ognuna una capienza di 10 persone.
I piani della piastra sono collegati fra di loro da 5 scale mobili per la risalita, e 5 scale mobili per la discesa, il tutto in modo che non si verifichino congestioni di traffico nelle ore di punta e che siano facilmente agibili ed identificabili da qualsiasi parte dei piani in cui ci si trova. Gli ascensori previsti sono del tipo veloce, con locali macchina posti sulle testate superiori dei vani corsa.
Le batterie di ascensori hanno velocità di esercizio diverse tra loro; ciò si giustifica con la volontà di uniformare i tempi di accesso ai vari piani dell’edificio. Se si fossero adottati impianti con uguale velocità di esercizio, si sarebbero registrati tempi di attesa e di percorrenza sempre maggiori, a mano a mano si fosse voluto andare sempre più in alto, tempi che sicuramente sarebbero stati inaccettabili per un dinamico ed agevole traffico interno.
rinforzo volta intradosso vista pianerottolo e rampa asendente vista scala dall'alto
vista scala in acciaio